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la dama della regina 185

reva le gazzette, o contemplava Bianca china sul suo ricamo: pago di uno sguardo e di un sorriso ch’ella gli rivolgeva di tratto in tratto.

Quando il domestico portava in giro il caffè, l’acuto profumo del moka penetrava nei cervelli abbattuti e vi destava qualche scintilla: scattava allora qualche frase risentita, qualche invettiva contro gli inetti, contro: traditori; poi ritornava il silenzio, il muto dolore.

La caduta della Repubblica per cui tanto s’addoloravano, non poteva cagionar a quegli uomini grandi danni materiali. Il governo della Serenissima, specialmente in quegli anni, non li arricchiva, e non li proteggeva contro le ladrerie de’ corsari, nè contro eventuali prepotenze di naviganti stranieri. Il loro amore era scevro di considerazioni economiche, di volgari egoismi. Essi amavano Venezia, amavano la vecchia Repubblica come i tigli devoti amano la madre ridotta inferma dagli anni e dagli acciacchi, incapace di assisterli. Essa era per loro il simbolo della patria, il vincolo sacro che li univa alle popolazioni sorelle, con le quali avevano comune la lingua, gli affetti, le gloriose memorie.

Non odio di civile progresso, non grettezza di mente li rendeva così avversi alle innovazioni, che molti giovani, malignamente istigati, volevano introdurre nella solida costituzione della