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Il podestà diramò gl’inviti alle poche signore: alle mogli e alle figliole di quei quattro impiegatelli; alla maestra di cucito, alla sorella del farmacista, alla moglie del medico e a qualche bella ragazza di classe incerta. Naturalmente le signore invitate erano autorizzate a farsi accompagnare dai loro padri, mariti e fratelli. Le famiglie signorili provvidero il mobilio prestando sedie e divani, lampade e specchi; esse pensarono pure agli indispensabili rinfreschi con conserve, liquori, rosoli e vini squisiti di cui tutti quei possidenti avevano cantine ben fornite: nè mancava il vecchio rhum tanto gradito agli ufficiali. Il cognac non era conosciuto; ed è da notare che dicendo «liquori» quei vecchi provinciali intendevano certi vini dolci, che preparavano con le loro uve. Del resto usavano molto i rosoli: il maraschino di Zara primeggiava. Come accompagnamento alle delicate bibite facevano furore i dolci delle monache. Tutte quelle famiglie signorili, le nobili specialmente, avevano parenti monache e queste mandavano ad ogni occasione, i dolci squisiti, che esse sapevano fare, ai loro nipoti, fratelli, cugini. Nello belle credenze antiche se ne trovavano sempre in abbondanza.

Durante i preparativi, gli ufficiali mandarono a bordo le vettovaglie e l’acqua: alcuni pranzarono al piccolo caffè, altri all’osteria; il colonnello fu invitato dal podestà.