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e la porse a Maria; poi altre rame ella colse, rosee, bianche, violacee e fattone un mazzo lo circondò di foglie e lo portò in sala in un bel vaso di porcellana, che fu collocato in mezzo alla tavola. L’avvocato sorrise.

— Sono la mia passione i giacinti — disse la signora Rosalia.

E l’Ersilia subito:

— A me invece danno mal di capo col loro odore acuto.

— Vuoi che li porti di là, zia?

— Ma che! — esclamò l’avvocato — Sono mali imaginarì: ci va soggetta.

La vecchia rise, l’Ersilia volse al marito un’occhiata velenosa e sentenziò:

— Per gli egoisti tutti i mali degli altri sono imaginarì.

Nessuno rispose. Tutti parevano occupati a mangiare e nel silenzio si sentiva lo sbatacchiare dei denti finti della vedova Arquati.

Entrò la cameriera per cambiare i piatti, poi si mise a girare con un vassoio carico di pasticcini fumanti.

La Rosalia lodò la squisitezza di quella vivanda; ma poi, dopo alcuni bocconi, non ne mangiò più. Erano troppo pesanti per il suo stomaco; sapevano bene che aveva lo stomaco indebolito.

Era questa una accusa di poca delicatezza lanciata all’Ersilia? Per fortuna costei non vi badò e si mise a parlare di Milano con Maria Clementi.