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cessivo però, non sordido come credono a casa nostra.

— Sarà: ma io non ci starei qui; mi pare che fra tutti mi toglierebbero il respiro.

Antonietta la guardò negli occhi.

— Stai forse meglio in casa di mio padre?

— Oh, sì, senza confronto. Forse perchè io vivo quasi separata, tutta al mio lavoro. Ma all’ora del pranzo e anche la sera sono contenta di trovarmi in loro compagnia. Tua madre è buona, tuo padre è sempre un’anima d’artista e i tuoi fratelli sono generalmente allegri; i loro bisticci mi seccano qualche volta, ma non rattristano come le acrimonie logoranti di questi tre.

— Se io potessi andarmene, me ne andrei subito. Se mi avessero fatta studiare, se avessi un’arte, un mestiere... Invece non sono buona a nulla!... Non sono buona neppure a far la serva, sono un oggetto di lusso, di nessuna utilità. Se fossi a casa mia, sarei una bocca di più; qui almeno mi guadagno la vita col mio sorriso, con i miei vent’anni che portano un diversivo in quest’ambiente gelido. Perfino la mia tristezza è meno opprimente della loro ironica gaiezza e serve a distrarli.

— Ragazze, a colazione — gridò la signora Pagliardi dalla finestra della sala.

— Subito, zia.

Prima di rientrare l’Antonietta si chinò, colse una rama di giacinti dalle campanelline rosate