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E con una mossa rapida tentò di aprirsi un varco per fare i pochi scalini che la separavano dal primo piano.

Egli la agguantò e la serrò contro il muro senza riguardo per la piccina che cominciava a piagnucolare.

Doveva ascoltarlo, doveva. Era una civetta: l’aveva stregato: doveva accontentarlo.

Senza dargli risposta, Angelica lo cacciò in là e si chinò verso la sua sorellina che si era messa a piangere, spaventata.

— La finisca, via. Mi lasci entrare in casa. Viene gente. No?... Se mi vuole proprio, sa cosa deve fare. Ma si spicci, se mai, perchè io ho stabilito di andare sul teatro. E quando fossi lanciata non tornerei più indietro, neppure per diventare la signora Monti.

— Sul teatro?... Ma che!... E in quale compagnia, di grazia?...

— Questo non la riguarda.

— Cattiva! Ma sul teatro non potrà difendersi dagli adoratori. Perchè non vuol cominciare da me? Le farei un magnifico corredo.

Un potente ceffone punì lo stupido insulto.

Egli mandò un urlo; la bimba si mise a strillare. Sentendo quel chiasso, Leonardo Valmeroni aprì l’uscio di casa.

— Cos’è? Cosa fate sulle scale?

— Io salivo con la bambina. Il signore mi ha fermata a forza per insultarmi...