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— Signorina, si calmi; non ho mai violentata una donna; non sono un mascalzone. Volevo implorare la sua pietà, non già imporle vigliaccamente il mio contatto. Si calmi; ora me ne andrò. Le chiedo un’ultima grazia: rimetta la sua risoluzione fino al giugno. Se ella avrà deciso in mio favore, ci resterà un mese di tempo per maritarci.

Ella fece un lieve cenno, che significava: „Acconsento per finirla“, e uscì dalla sala.

Ritornando presso Antonietta, che l’attendeva con una certa inquietudine, Maria si abbandonò tra le braccia dell’amica e pianse dirottamente. Era sconvolta, convulsa; tutte le sue membra tremavano. Accenti rotti, accompagnati da lunghi gemiti, uscivano dalle sue labbra illividite.

Non osando rivolgerle alcuna interrogazione, Antonietta cercava di calmarla con le carezze, con i baci, con le parole sommesse e tenere, che vanno al cuore di chi soffre. Quello spasimo cessò finalmente e Maria potè parlare, sfogare la sua pena. Furono da principio parole confuse, piene di disgusto: imprecazioni amare contro il destino, contro se stessa. Il pensiero doloroso si delineò a poco a poco. Emergeva in esso il rammarico di aver amato un indegno, un egoista, un commediante deliavita: di avere sprecato per lui la parte più bella dell’amore giovanile, i cari sogni, l’illusione divina, di non poter dare ad un altro uomo... a Riccardo, così