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nè compatire: le dava ai nervi. Angelica a sua volta aveva altri motivi di ripugnanza per la sorella: l’accusava di averla danneggiata nei suoi più cari interessi.
— Vedi — ella diceva alla madre — i Mainetti non si fanno più vivi. Sono venuti a salutarci l’ultimo giorno di villeggiatura per salvare le apparenze; poi nulla. Un’occasione sfumata, una fortuna perduta! Non bastava che fossi senza dote, che mio padre passasse per un mezzo pazzo: un mattoide!... Ci voleva qualche cosa di più piccante, ci voleva la tragedia intima, lo scandalo. Figurati se i Mainetti vogliono imparentarsi con una famiglia povera, disordinata, e nella quale succedono dei fatti così clamorosi. È finita, io non troverò un cane che mi pigli!
Questo feroce pessimismo, cagionato dall’attesa, cessava alquanto la sera, in mezzo ai giovanotti che la corteggiavano.
Tra costoro, in prima fila, brillava adesso Luciano Monti, l’antico spasimante di Eugenia. Pareva che volesse ricominciare lo stesso giuoco con Angelica. Una sera in cui egli le si mostrò molto assiduo, questa gli disse bruscamente:
— Badi a quello che fa: io non sono una sciocca come Eugenia! Non so cosa farmene di un corteggiatore che non intende di sposare, e non voglio ridurmi nemmeno a rompermi il collo come mia sorella. Se il signor dottore non