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rine, accompagnate dalle madri, da qualche sorella maritata, raramente dai padri: arrivavano gaie, chiacchierine: altre, serie, maestose: altre ancora, con le labbra atteggiate a un risolino sprezzante, e qualcuna visibilmente triste, annoiata, compresa forse dell’inutilità e della malinconia di quella periodica esposizione.

Maria Clementi e Antonietta Valmeroni videro in quei gruppi non poche conoscenti e scambiarono saluti. Molti sguardi curiosi si fermarono sull’Antonietta.

Ella n’ebbe disgusto e s’alzò per andarsene.

— Sono stanca, andiamo a casa.

— Non vuoi ascoltare la musica?

Oh! no!... C’è troppa gente. E poi la musica mi fa male.

Uscirono dal giardino e Antonietta andò verso il tram.

— No, no — disse Maria, che aveva già fatto cenno ad un brougham. — Vieni qui.

— Io non ho denari... da prendere sempre la carrozza.

— Non fa niente, cara. Pago io. Non aspetto forse le cinquantamila lire dei miei fratelli?

Ella rideva, così dicendo, e l’ironia trapelava dal suo accento.

— Tutto è possibile.

— Già. E se non sarà, ho sempre il mio stipendio; e fin che lavoro qualche piccolo lusso me lo posso concedere. Anche tu potresti avere uno stipendio.