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attendendo che la carrozza si avvicinasse per correre al cancello.

D’un tratto, ella non sentì più nulla. Le parve di morire. Invece di giungere fino a casa Valmeroni, il cavallo si era fermato probabilmente a una delle ville vicine, o aveva svoltato sulla strada di Galbiate.

Un singhiozzo disperato uscì dal petto della delusa. Ora le pareva che Antonietta non dovesse ritornar più, mai più!... Morta!... scomparsa... inghiottita dall’abisso...

I singhiozzi la scotevano, la contorcevano come una pianta delicata sotto la violenza dell’uragano. Le lagrime le inondavano il viso, impetuose, cocenti. Il tormento maggiore le veniva dal rammarico di non aver accompagnata l’Antonietta: di non aver insistito per farlo: di non essersi imposta. La ripulsa stessa doveva farle comprendere che Antonietta aveva presa una determinazione funesta... tragica. Altrimenti non avrebbe rifiutata l’offerta affettuosa, era troppo pura, troppo leale. Voleva finirla, sparire. E lei non aveva compreso e si era lasciata metter da parte ed era rimasta a casa, trattenuta da uno stupido riguardo, mentre la sua diletta amica, la sorella del suo cuore, correva a perdersi, a morire. L’immagine tragica l’assaliva con accanimento, e invano la sua ragione si dibatteva contro il tetro fantasma. Tutte le forme della morte volontaria le passavano dinanzi in lugubre schiera.