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In mezzo a molte perifrasi e circonlocuzioni, e in una lingua più tedesca che italiana, il signor Giorgio Cantelli narrava che suo padre era morto da alcuni giorni e che prima di morire si era ricordato di avere laggiù in Italia una figlia naturale; non potendola riconoscere e volendole assicurare l’agiatezza era ricorso ad un certo cavalier Belli che gli faceva l’amico.
Costui gli aveva detto: «Io conosco tua figlia e le voglio bene: lascia a me la somma che vuoi disporre in suo favore e io m’impegno a sposarla». E così Aleardo Cantelli aveva lasciato in testamento un legato di trecentomila lire al cavaliere Faustino Belli, col patto che egli sposasse, nel termine di un anno, la signorina Maria Clementi di Milano, figlia naturale della defunta Teresa Clementi. Non adempiendo egli all’obbligo, o se la detta Maria Clementi rifiutasse di sposare il Belli, le trecentomila lire ritornavano agli eredi legittimi.
Giorgio Cantelli compiangeva suo padre di essere caduto in un simile tranello e protestava di voler tentare ogni via per mandar a male le mene dell’imbroglione. Perciò cominciava dal rivolgersi a lei affinchè non fosse vittima dell’inganno.
„Noi — egli scriveva — impugneremo il testamento di nostro padre, per quanto ciò riesca duro al nostro affetto figliale; e crediamo di