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turale, dichiarava non impossibile, non ripugnante alla scienza che una volta formata (dall’unione dell’intima essenza dei quattro corpi semplici che sono i principali fattori della vita) questa nostra coscienza duri anche eterna.
Quanti pensieri avevano destato nel giovine studente le parole del maestro! Subito dopo la lezione aveva fatto una lunga passeggiata, solo, per vie remote, fantasticando su quella possibilità scientifica di una coscienza immortale. Glie ne era rimasto un ricordo indelebile, il quale aveva avuto poi un potere determinante su tutte le sue azioni. La coscienza immortale, e i pianeti del nostro sistema e le innumerevoli stelle, tanto lontane da noi, popolate secondo ogni probabilità da creature viventi, se non uguali a noi, forse somiglianti, avevano aperto al volo della sua fantasia un campo sterminato, un soggetto inesauribile.
Spirito sereno e positivo, incapace di accettare le favolose leggende e la parte tetra e sanguinaria delle tradizioni, ma anelante a cose alte e trascendenti per la loro grandezza, egli seguiva con entusiasmo le indagini, le intuizioni, le divinazioni dei grandi spiriti. La scienza era il suo dio. E rideva di quei piccoli spiriti, i quali ripetono a sazietà che la scienza chiude il varco ai bei sogni e distrugge la poesia. La superficiale e vana poesia, certo, doveva sparire davanti alla scienza, ma per cedere il posto ad