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ragazzona sana, dal busto fiorente, dal viso bianco e fresco con una monotona espressione di compiacenza, diceva alla sua amica Flora Ermondi:
— E così, per quest’anno io non ballo più. L’anno passato fu la malattia del babbo. Speravo di rifarmi quest’anno. E invece, niente. Non poteva aspettare a morire in quaresima quella benedetta vecchia?
— Oh! per conto suo non avrebbe avuto nulla in contrario — rispose Flora col suo sorriso insipido di ragazza comune.
— Tu hai un bel ridere — brontolò Eugenia contristata. — Se ti trovassi nei miei panni non rideresti.
Ciò voleva dire: «Tu puoi ridere, tu che hai appena diciannove anni, mentre io ne ho già ventiquattro compiuti; tu puoi ridere perchè hai un fratello che pensa a te sola, e sebbene povera come me ti credi sicura di maritarti, mentre io, che sono la maggiore di sei fratelli, non posso contare che sulle mie attrattive personali e ad ogni anno che passa tremo che sfumino; tu puoi ridere, tu che la tua poca bellezza la porti tutta sulla faccia; mentre io per mostrare quello che valgo ho bisogno dell’abito scollato e senza maniche, e quindi delle grandi feste, dei grandi balli, o spettacoli alla Scala».
Davanti ad un ritratto che rappresentava la sua bisavola in un magnifico costume empire,