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dietro il banco, rileggeva attentamente una lettera.
Sotto il Portico dei Bocconi — dove l’entrata ai magazzini col grande cancello chiuso e l’interna illuminazione aveva più che mai l’aspetto funebre di un peristilio di necropoli — una vecchia fioraia, vedendo quel bellissimo giovine, gli corso incontro con un garofano rosso, facendo l’atto di infilarglielo all’occhiello. Infastidito, egli la respinse, ma si pentì subito dell’atto ruvido e le gittò alcuni soldi nel paniere, pensando che forse aveva fame.
In Galleria trovò già la folla solita. Dai grandi caffè aperti usciva un rumore confuso di voci misto al cozzare delle stoviglie, e in tutto il vasto ambiente fino ai lucernari alti, si spandeva un colossale ronzìo di giganteschi alveari.
Riccardo si ricordò di una sera di carnevale che erano andati a pranzo al Biffi, tutta la famiglia, meno la nonnina, rimasta a custodire i bambini; e Antonietta, già a Pavia dai Pagliardi. Era il primo anno che Maria aveva avuto un posto di maestra, appena finiti gli studi. Non si poteva veder sola a Saronno e appena aveva due giorni di vacanza correva a casa. In quel tempo egli aveva cominciato ad amarla. Prima la considerava come una sorella, più intelligente di Eugenia e più allegra di Antonietta, quindi sorella preferita. Quando veniva a casa dal convitto magistrale si godeva