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di vivere. Gli organi inibitori dovevano essere in lui di una forza singolare. Eppure, non aveva saputo inibirsi di amare. Forse era troppo giovane allorchè l’Antonietta, ragazzina di soli quindici anni, apparve la prima volta dinanzi a lui che ne aveva appena venti: nell’ingenuità del suo cuore, nell’inesperienza dell’età, egli sperò che quella giovinetta umile e buona, disposta precocemente alla malinconia, potesse comprenderlo e amarlo. Antonietta gli accordò tutta la sua stima, tutta la sua amicizia, ed egli potè illudersi per qualche tempo.

Allora si diede a studiare la medicina, sperando che la scienza lo aiutasse a combattere la propria bruttezza e consacrò agli esercizi ginnastici tutto il tempo libero che gli lasciava lo studio. Così si preparò almeno due possenti distrazioni per combattere il tedio della vita dopo il disinganno che non tardò ad arrivare. Un giorno — dal quale due anni erano ormai passati — Isidoro Arquati ritornò da una lunga dimora a Costantinopoli, dove il Ministero della guerra l’aveva mandato, e il primo incontro della fanciulla col giovane ufficiale strappò ogni speranza di felicità dall’anima dolorosa di Paolo. Quello non fu per lui uno dei tanti disinganni d’amore, che i giovani dimenticano lungo il cammino della vita, bensì la rivelazione spietata di un destino immutabile. La sua giovine anima vide, esagerandolo nella sua amarezza, l’avve-