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inondato di sole, sparso d’alberi e di fiori, e tanto vasto che io non potevo vederne la fine, e mi faceva provare un senso di sacro terrore. Amavo Marino da quasi due anni, e ne avevo diciotto: vale a dire che mi pareva di averlo amato sempre.

Da principio il babbo si era opposto, perchè Marino aveva solo tre anni più di me, e a lui parevano pochini. Ma poi, vedendolo così buono e costante e studioso, si era lasciato convincere. Io non avevo mai dubitato che questo dovesse avvenire; eppure, dacchè il mio sogno prendeva forma di cosa vera, mi pareva inaspettato, insperato: meno vero di prima. Ripensavo al passato così vicino, vivevo come in riepilogo le ore d’incertezza e di scoramento vissute lentamente: mi pareva che la mia felicità fosse stata sospesa ad un filo e soffrivo con l’immaginazione tutto il male che avrei sofferto, se quel filo si fosse rotto, se Marino non si fosse messo a posto così presto e bene: se il babbo avesse continuato a credere che non era un marito per me. Che cosa avrei fatto?... Che ne sarebbe stato della mia vita?

Con questi pensieri continuavo a voltarmi e rivoltarmi nel letto, mentre Lina dormiva profondamente. Mi ero appena un po’ quietata, allorchè una grande scampanellata mi fece balzare in aria, con un grido disperato che non potei frenare. Anche Lina si svegliò subito. Ma la mamma che forse non aveva dormito, al pari di me, ci disse dalla sua camera, di star tranquille, che probabilmente era uno sbaglio. Intanto però, a buon conto, ella scese dal letto ed accese il lume. Il campanello tornò ad agitarsi e mandò uno squillo recisamente imperioso. Mi sentii gelare. Lina si strinse al mio braccio. La mamma si era fatta all’uscio di casa, e,