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signora Edvige e l’Avvocato Procuratore della banca Pianosi e Compagni. È un napoletano, e pare che abbia conosciuto la signora in gioventù, quando lei cantava e lui scriveva delle opere liriche, fischiate e dimenticate. Ma questi dettagli mi sfuggono, e d’altra parte non importano. Quello che è certo si è ch’egli era un povero diavolo quando venne a Milano, cira dieci anni fa, e che adesso ha un bel patrimonio, quantunque cerchi di dissimularlo.

— ... L’avrà acquistato, con la sua professione!

— Non pare. Non è un ingegno. È precisamente quello che si dice un arruffone. Ha saputo arruffar bene la matassa degli affari nella banca Pianosi, e ci ha trovato il bandolo per conto suo. Questo però non sarebbe bastato a rovinare una casa come quella.

Qui il Professore fece qualche interrogazione sulle origini della casa bancaria di Giovanni Pianosi. L’Ingegnere rispose che era antichissima e aveva sempre goduto una eccellente riputazione di solidità e di onestà.

Tornarono a parlare dell’Anselmi e l’Ingegnere riprese così il suo racconto:

— Da uno o due anni — egli disse — l’avvocatino napoletano si è messo in grande intrinsichezza col direttore di uno stabilimento industriale di ferramenta, attrezzi da macchine e macchine da tramway, che ha la sua sede nei dintorni di Como. Le stabilimento prese subito uno sviluppo straordinario, e presto si seppe che la Banca Pianosi e Compagni sosteneva quella industria. Tre mesi or sono fu detto, e poi confermato dal Pianosi stesso, ch’egli aveva impiegato in quella in-