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una prova abbastanza difficile. Ma la sua furberia, il colpo d’occhio sicuro, che le faceva discernere l’utile proprio nei momenti gravi, l’avevano ajutata, come sempre, a superare il pericolo.

Una mattina, Lauretta Mantrilli, che altre volte aveva prestato mano all’intrigo, le portò una lettera di Paolo. L’aveva ricevuta per la posta, chiusa, in una busta diretta a lei, come era accaduto spesso nei primi tempi della loro relazione.

L’Anselmi scriveva da Lione. Non si lamentava della sua sorte. Sapeva benissimo la parte che Edvige aveva preso nel tiro giuocatogli dal Pianosi, ma le perdonava. Era naturale ch’ella pensasse prima di tutto a salvare sè stessa, e non poteva salvarsi altrimenti. Lui era ragionevole. Sperava però ch’ella non lo avesse interamente dimenticato. Egli le voleva sempre bene, rammentava sempre l’amore antico e avrebbe fatto qualunque sacrificio per vederla ancora una volta e vivere almeno un giorno in sua compagnia. Ciò non era impossibile, se ella non si opponeva: le avrebbe riscritto presto in qual modo.

Intanto le diceva ancora questo: i suoi affari erano vicini a una favorevole sistemazione: se la cosa riesciva bene sarebbe andato a stabilirsi a Nuova-York e nessuno avrebbe più sentito parlare di lui in Italia, anche perchè portava un altro nome. C’era tuttavia una piccola difficoltà: i capitali ch’egli aveva potuto salvare non bastavano all’impresa in cui voleva mettersi: gli mancava una somma di 30 o 40 mila lire. Come fare a trovarla nella sua posizione? Naturalmente, egli intendeva un prestito. Ci sarebbe voluta una per-