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Era questo il suo male; era questo il suo strazio, una gelosia cupa, irragionevole, che la mordeva improvvisamente come una vipera maligna.

Finchè il loro amore era durato puro ed innocente, per tutto il tempo che ella avea assistito Giovanni, quella donna le era parsa, sì, un ostacolo alla loro felicità, l’avea odiata per il male che avea fatto a lui; ma non le era mai venuto in mente di essere gelosa. Soltanto dacchè avea vissuto con lui nella bella intimità libera, dacchè si era illusa, per un momento, di essere lei la moglie, la vera moglie degna di lui per l’intensità dell’affetto e perchè a lui solo avea appartenuto, soltanto allora quella mostruosa gelosia era venuta ad avvilirla con i suoi sospetti, a mettere una macchia turpe sulle belle immagini del suo unico amore.

O perchè?... Era forse un castigo? Avea fatto tanto male lei ad amare un uomo infelice, un uomo tradito?...

Con questi dubbi, con questi tormenti, ella era giunta a Milano.

Fu un arrivo pieno di mestizia. Alla stazione nessuno l’aspettava: nel suo appartamento, in via Sant’Andrea, nessuno altro che una servetta svizzera, di buono aspetto però.

Ma nella serata egli andò a trovarla e l’elegante nido che le aveva preparato brillò di luce e di gioja.

Il settembre e l’ottobre passarono così in una alternativa di giorni grigi e tristi, traversati da alcune ore di felicità violenta.

Il lunedì fissato per le prove, ella si trovò, a mezzogiorno in punto, davanti la porta del teatro Milanese.