Pagina:Speraz - Nell'ingranaggio.pdf/239


nell’ingranaggio 235

bianco; un casettone a maniglie di cui una mancante, senza chiave, con alcuni gingilli sopra. Po tre sedie con le fodere di percalle bianco, un tavolino, un comodino e una toelette tutta in percalle bianco, messa di sbieco nell’angolo tra la finestra e l’uscio. Nell’altro angolo, una piccola stufa di ferro. Grandi tende all’agotorto, fatte con cotone molto grosso pendevano dalle finestre. Per l’inverno, la signora Farinola disse che vi erano delle stuoje da stendere su l’ammattonato.

La luce, che discendeva da una corte alta e stretta, era grigia e prometteva molte giornate buje per la stagione delle nebbie.

Quando Gilda si vide sola in queste due stanze malinconiche, quando ebbe fatto l’ultimo sforzo per calmare le inquietudini di sua zia con l’ultimo sorriso, quando la porta fu ben chiusa ed ella ben sola, nulla potè più trattenere lo scoppio della sua disperazione.

Se ella non avesse promesso a Giovanni di essere forte, di sopportare con coraggio il sacrificio che lei stessa aveva creduto necessario, se ella non avesse aspettato una lettera di lui, che Marco, il domestico, le avrebbe portato quella sera e poi tutte le sere, quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe voluto metter fine alla sua esistenza.

L’amore le aveva rivelato ora tutti i suoi misteri: ella apparteneva a Giovanni. E oramai una voce intima le diceva che egli non l’avrebbe sposata mai più, che mai più avrebbe avuto il coraggio di affrontare l’opinione pubblica con un divorzio di cui lei stessa aveva analizzate e fatte spiccare le difficoltà, quasi per giustificarlo ai