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nell’ingranaggio 217


sua nipote da quella sera memorabile in cui la signora Edvige le aveva mandato il figliuolo del portinajo, per avvisarla che la giovane era tornata al suo posto d’istitutrice, non faceva che ripetere questo fatto, l’unico di cui fosse in possesso. Ma la Contessa non voleva credere. Chi sa cosa avevano complottato fra la sua nipote e il ragazzo del portinaio? In ogni modo, comunque ci fosse entrata, ora bisognava che ne uscisse, e se non usciva di spontanea volontà avrebbero trovato il modo di farla uscire per forza.

— Ma come devo fare io? Che ci posso fare io? — ripeteva la vecchietta piangendo come una Maddalena. — Se il Banchiere se la vuol tenere, come devo fare io, a portargliela via? devo fare uno scandalo?

— Oh, no! Guai fare scandali — sentenziò la Contessa. — Tu devi indurla ad andarsene tranquillamente da sè. E per questo basterà forse che tu riferisca le mie parole.

Improvvisamente la Contessa si sovvenne che Gilda aveva un padre:

— Ma suo padre, quel malarnese di tuo fratello che fa?

— Adesso è buono lui, — rispose la Caterina, che non aveva voglia di sentirsi umiliata anche da quella parte — si è impiegato presso l’attrezzista del Teatro Milanese.

La Contessa si mise a riflettere, e dopo un certo tempo di silenzio così riprese:

— Senti Caterina, mi viene un’idea: tua nipote potrebbe vedere di entrare in quel Teatro. Tanto voglia di lavorare mi hai sempre detto che ne aveva poca; quanto a trovarle un posto in una