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gialla delle candele, con le ombre che si addensavano negli angoli.

La contessa Vimercati, una delle ultime a separarsi da Edvige, dopo di averla baciata in viso, bisbigliando le domandava:

— È vero che hai ripreso la Mauri?

— Certo!

— ... Ho paura che tu non abbia fatto una buona cosa!

— Oh, perchè?... Lea le vuol bene; e poi, sai, in questo momento, io non posso pensare a male; ho il cuore troppo commosso!...

Una vocina fresca risuonò nell’anticamera, e Lea entrò galoppando, dando spintoni alle sedie, arrestandosi qualche momento per rispondere ai baci e ai saluti che riceveva sul suo passaggio. Tornava dalla passeggiata con Gilda, era tutta eccitata dall’aria aperta, dall’odore di primavera che aveva aspirato ai giardini.

Gilda non entrò nel salotto. Ma la contessa Vimercati credè opportuno di farla chiamare, per farle alcune raccomandazioni e domandarle conto di sua zia, a cui il portinajo, uno zotico, aveva fatto uno sgarbo nei giorni scorsi.

Nell’andarsene la buona signora pensava che la sua amica Edvige perdeva la testa e commetteva una grande imprudenza. Nemmeno lei, che aveva il marito vecchio, si sarebbe ripresa in casa una ragazza divenuta così pericolosa.

L’ingegnere Santini da parte sua, uscendo da quella casa, insieme ai suoi colleghi, Krauschnitz e Blendano, al professor Scamozzi, allo scultore Gravigna, al dottor Bardelli e ad altri giovani eleganti, pensava pure a Edvige e ascoltava con