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nell’ingranaggio 151

alcuni passi avanti chiamando per nome il giovine Enrico Lavezzari, figliuolo di un suo collega ammalato, poi il banchiere Pisano, che aspettava maestosamente il suo turno, e gli disse con enfasi:

— Vorrei aver fatto io il colpo che hai fatto tu, te lo dice Pisano! —

Il vecchio Ernesto Terzaghi, già direttore della Banca Popolare, l’avvocato Ciani, l’avvocato Romeli, suoi vecchi amici, che non avevano voluto mancare a quella festa intima, quantunque la politica li allontanasse un poco; poi Balzarotti, Teruzzi, il dottor Riva, Emilio Berrà, Giulio Besana, Egidio Lattuada, Pietro Albasini, e tanti altri, uomini di società e uomini di banca, avvocati, giornalisti, artisti, tutti buoni amici del banchiere Pianosi, e anche buoni nemici, che volentieri lo avrebbero calpestato se fosse caduto, ma stimavano necessario di onorarlo, dacché aveva vinto.

Ma il secondo salotto reclamava. I cavalieri che erano rimasti presso le signore, cominciavano a brontolare.

C’era là naturalmente anche il cavaliere Alessandri, il vecchio giornalista brillante e galante, il quale diceva in veneziano, che quella non era la maniera d’infeudarsi il padron di casa, mentre tante signore lo desideravano.

Ma la sua frase non destava che pochi sorrisi languidi. L’attenzione generale era accaparrata da quel gruppo di uomini, in mezzo ai quali si trovava Giovanni.

I dialoghi s’intralciavano, s’interrompevano. I signori erano quasi tutti in piedi; alcune signore li imitarono.

Regnava la più grande indipendenza, quella