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Era la canzone del capriccio, giocondo, spietato, irresistibile. A poco a poco questo si trasformava in un inno di guerra, cui faceva seguito un canto irrefrenato, di trionfo, di tripudio. Ritornava il motivo flebile del principio, più straziante, angoscioso. Ma la canzone della gioia lo interrompeva perentoriamente, lo derideva, lo forzava al silenzio, e finalmente lo trascinava con sè nella ridda vertiginosa delle note ebbre. Argia seguiva con ansia il tramutarsi della tenue melodia sentimentale. Le pareva una voce di anima in pena, balbettante i ritornelli del piacere, con delizioso terrore. Ma presto non la distingueva più, soffocata, agonizzante, in quel tripudio di note, in quel delirio di fantasie di affetti opposti, di ebbrezze, che pure si fondevano in un insieme armonioso, potente, straordinario.

Così agonizzava anche l’anima di lei, in un vortice d’abbaglianti immagini, straziata da