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gli occhi di lui. Non uno strumento pareva ad Argìa quel violino, bensì una voce sovrumana, una voce misteriosa che parlava all’anima sua un linguaggio nuovo, consolante, divino.

Dopo il primo pezzo che era di Sgambati — un po’ troppo serio per la media del pubblico ascoltante — Ruggeri volle dare un saggio anche del suo non comune ingegno di compositore.

La notizia che il pezzo: “Canti dell’anima„ deposto sul leggìo, era lavoro dello stesso esecutore, circolò subito per la sala, e signore e signorine si entusiasmarono anticipatamente, fantasticando su la poesia di quel titolo.

Il pezzo era lungo, ma assai svariato. Con le armonie potenti, le dolci e vibranti melodie, le sapienti dissonanze, gli inaspettati passaggi, l’artista aveva volato esprimere le diverse passioni che agitano l’anima umana.

La bontà del pezzo, non piccola, era por-