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a correre preso da un’ansia terribile, la testa in fiamme, sudando a grosse gocce.

In istrada rifiatò. Camminava barcollando, agitato da un tremito di febbre.

Suonava l’Avemaria alla chiesetta dei Servi, ed egli si trovava appunto nella vicina via S. Martino presso a un ampio portone a tettoia che mette nel cortile dove sporge l’abside della chiesa.

Si sentì gelare.

Affrettò il passo nella via mal rischiarata.

Inciampò e quasi cadde.

Gli pareva che i radi passanti guardassero tutti lui, bisbigliando:

— Ha ucciso suo genero.

— È un assassino.

Andò diritto alla casa di Marco Fabbi, senza pensare, per il bisogno di vedere un amico.

Picchiò.

Marco apparve al balcone.

— Che cosa vuoi? Vieni su.

— No. Scendi un momento.

Erano le prime parole che diceva.

Marco si rimescolò tutto a sentir quella voce.

— Cosa c’è?... Cos’hai fatto?...

— L’ho ucciso.

— Chi hai ucciso?... Di’!...

— Chi?... Paolo Brussieri.

— Vaneggi: non è possibile!