Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 288 — |
a correre preso da un’ansia terribile, la testa in fiamme, sudando a grosse gocce.
In istrada rifiatò. Camminava barcollando, agitato da un tremito di febbre.
Suonava l’Avemaria alla chiesetta dei Servi, ed egli si trovava appunto nella vicina via S. Martino presso a un ampio portone a tettoia che mette nel cortile dove sporge l’abside della chiesa.
Si sentì gelare.
Affrettò il passo nella via mal rischiarata.
Inciampò e quasi cadde.
Gli pareva che i radi passanti guardassero tutti lui, bisbigliando:
— Ha ucciso suo genero.
— È un assassino.
Andò diritto alla casa di Marco Fabbi, senza pensare, per il bisogno di vedere un amico.
Picchiò.
Marco apparve al balcone.
— Che cosa vuoi? Vieni su.
— No. Scendi un momento.
Erano le prime parole che diceva.
Marco si rimescolò tutto a sentir quella voce.
— Cosa c’è?... Cos’hai fatto?...
— L’ho ucciso.
— Chi hai ucciso?... Di’!...
— Chi?... Paolo Brussieri.
— Vaneggi: non è possibile!