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Era indifferente, per quel tanto almeno che un uomo come lui poteva essere indifferente verso una donna giovine e non brutta. Dopo di averla ammirata e corteggiata, nei primi mesi, incontrandola dai comuni conoscenti, al passeggio, alla messa, con la frequenza inevitabile dei piccoli paesi, ora non la cercava più. Era lei che si ostinava a cercarlo. Egli cercava altre; altre gli piacevano. Forse la stessa Emma! Comunque fosse ella non era amata. Il cuore glielo diceva: egli non l’amava! Era un capriccioso, un vanesio. O lei non era il tipo che avrebbe potuto fermarlo... Dio! Dio! Non le restava, se voleva ancora salvarsi dalla disperazione, che strapparselo dal cuore, fuggirlo, dimenticarlo.

Così la cruda verità si imponeva alla sua ragione illuminandola spietatamente.

Chiamò l’Emma; salutò la Teresa con aria stralunata, come ebbra.

— Andiamo, andiamo. Tornerai più tardi... ora è impossibile.... Accompagnami a casa. Mi sento morire.

L’Emma, spaventata, insisteva per sapere cosa era accaduto, cosa avevano detto.

— Nulla.... Nulla.... S’è parlato di cose indifferenti.... così.... Oh! non mi ama, non mi ama. E inutile. Non voglio cercarlo più. Non voglio pensarci. È finita.

E andava ripetendo, a intervalli, quasi meccanicamente: «È finita.» «Non ci penso più.»

Ma a poco a poco la sua esasperazione passò e