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— Oh! Abbi pietà! Non intendo scolparmi, non cerco scuse. Riconosco i miei torti, so che sono una indegna... che merito il tuo disprezzo... il tuo odio. Accetto qualunque castigo... Ma che Annetta non sappia!...

S’arrestò, soffocata dai singhiozzi.

Nella stanza piena d’ombra, la sua figura spiccava tutta bianca sul fondo scuro del tappeto e del letto; il suo viso disfatto, livido, aveva un’espressione di profonda angoscia: l’intima tragedia si appalesava con tutti i segni esteriori.

— Credimi!... abbi pietà! — ripeteva, a scatti, con la voce inrochita. — Dico la verità: non invento: non so inventare. Non ti ho capito: ho creduto che tu non mi amassi più. Sentivo in te qualche cosa che mi sfuggiva, per cui restavi sempre mio superiore, e non potevo immaginare... Abbi pietà, per la nostra Annetta... per la nostra figliuola!... Che non sappia... che non mi disprezzi... Oh! la mia bambina, la mia vita!...

Leopoldo taceva, osservandola, assediato dal sospetto che ella fingesse, che facesse la commedia, come tante volte; e, nel medesimo tempo, colpito, soggiogato da quel grande accento di verità e di dolore, dalla desolazione irrefragabile che si manifestava nel viso della disgraziata, nella sua voce, nei tremiti di tutto il corpo.

— Basta — disse — ti credo. So forse meglio di te, che tu non hai amato al mondo altro che la tua figliola. Ai miei occhi però, questo non ti fa un