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Lina. — È per dirmi questo che sei venuta?

Erm. — No. Ma veramente sono sbalordita.

Lina. — Sbalordita, tu? Non è facile.

Erm. — Difatti, non è facile. Ma la tua sfacciataggine è così superlativa da sbalordire i più calmi.

Lina. — Ti avverto che non ho tempo. È il tocco; devo essere da capo all’ufficio prima delle due. Se hai a dirmi qualchecosa che meriti di essere ascoltato, ti accordo mezz’ora, altrimenti me ne vado subito.

Erm. — È strano il tuo contegno. Si direbbe, a sentirti, che sei tu l’offesa.

Lina. — Sei sicura del contrario?

Erm. — Io rivendico i miei diritti.

Lina (sempre calma e un po’ sprezzante). — Quali?

Erm. (aspra, e con la voce soffocata dalla collera). — Mi pare che tu spinga l’ardire agli estremi. Come! Tu sei stata l’amante di mio marito, tu hai un figlio, che è suo, e lo tieni in casa e ti fai chiamar mamma, nella tua condizione! Non basta; con questo figlio tu vieni a stare qui, vicino a me e quindi vicino a lui, evidentemente perchè egli lo veda.... E pretendi che io non capisca, o finga di non capire? E pretendi che io taccia?

Lina. — Quando hai sposato Ernesto, tu sapevi che egli era stato il mio amante. Perché l’hai sposato?

Erm. — Perchè mi ha giurato che non ti amava più; che non eri stata per lui altro che un capriccio. Ed io gli ho creduto. Mi pareva così naturale.

Lina. — Ah! Perciò ora ti sembra ugualmente naturale che egli sia stanco di te.... e hai paura che ritorni a me?

Erm. — Questo no. Io sono sua moglie....

Lina. — E io la madre di suo figlio....

Erm. (esitando un momento). — Ho anch’io una figlia.

Lina (accostandosele e fissandola intensamente). — Tu?... sì; ma lui, no!

Erm. — Che intendi? Sei pazza?... È troppo, mi pare! Vantarti con me, della tua colpa, della tua vergogna!... con me, con una donna onesta, con la moglie....

Lina. — Basta! (dopo un momento di silenzio, frenando a stento la propria commozione e ricomponendosi). Via, bando alle frasi. Parliamoci francamente. Cosa vuoi da me?