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Sotto la tettoia della stazione pareva, a quell’ora, il finimondo.
Sibili acuti di locomotive appena arrivate o pronte per la partenza; gridi insistenti, rabbiosi; colpi formidabili, schianti: tutto insieme un rumore da orde selvagge, centuplicato dal rimbombo che rintronava gli orecchi ai poveri viaggiatori.
E questi andavano e venivano, nel denso fumo, con quell’aria di sbalordimento, come mandre sbandate, risospinti di qua e di là dai facchini, dai guardiani, dai conduttori.
— Arriviamo appena in tempo — disse il dottore. — Il treno per Bergamo è quello laggiù, a destra. Andiamo.
— Andiamo — ripetè macchinalmente l’avvocato, serrando la mano agli amici.
— Addio! A rivederci!
— A rivederci!...
Dovendo traversare la tettoia diagonalmente, si gettarono in mezzo alla folla e al frastuono.
Tutto a un tratto, Mario Limonta,