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Un riso amaro deformò per un momento la sovrana armonia del suo volto.

Un usignuolo cominciò a cantare, invitando forse la diletta compagna a tessere il nido: ma il suo canto non destò più nella giovinetta il pensiero che le qualità vantate dal suo tutore erano qualità negative, e che gli uccellini sceglievano i loro compagni probabilmente con altro criterio.

No. Nè il mormorio del ruscello che scendeva lento lento fin nei più ombrosi recessi della valle, nè l’onda molle che lambiva amorosamente le larghe pietre dei pilastri e luccicava come argento liquido, nè il profumo malinconico della ginestra, la facevano più pensare a ciò che avrebbe detto la sua povera mamma morta di cui ignorava perfin la tomba.

Tutto era soggettivo, e dove il cuore innamorato aveva letto: amore e vita: il suo cuore ricolmo di odio, leggeva: fango e morte.

— Gianni! chiamò la fanciulla volgendosi verso il giovane contadino.

— Eccomi, padrona.

— Accostati, ho qualche cosa a dirti.

Gianni obbedì. I suoi occhi azzurri non osavano fissarsi su quel viso superbo e irato: ma egli la vedeva anche senza guardarla.