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a negarla. È bene che nel romanzo moderno il concetto scientifico si faccia strada, e, abbandonatesi le vecchie rotaie del romanticismo, si concilî l’uomo alla terra prosaica, all’umile esistenza quotidiana; la vita, in fondo, non è, ad onta de’ mille e mille declamatori, così insopportabile peso; essa ha uno scopo che bisogna asseguire, e, concepita con serenità d’animo, potrebbe perfino darci de’ godimenti non mediocri. Ma sopratutto guardiamoci dal renderci schiavi del pregiudizio; e nel conflitto fra il pregiudizio e la Natura procuriamo di astenerci dal deplorevole orrore di comprimere quest’ultima. Essa non tarderebbe a prorompere impetuosa ripigliando i suoi diritti. Questo ha capito la signora Beatrice Speraz, anzi l’abate Don Paolo e Fausto vorrebbero esprimere, a mio modo di vedere, come per simbolo le idee dell’egregia pensatrice. L’artista, valorosissima, parmi che abbia caricate perciò un pochino le tinte de’ due personaggi, destinati a simboleggiare tali idee, pel resto non ho nulla da osservare: si sente nel Romanzo della Morte, e nei ritratti e nelle descrizioni, l’artista provetta che ha saputo infondere crescente interesse nello svolgimento di un caso cui i meno abili avrebbero ristretto ne’ limiti brevi della novella.
Tra gli episodî che mi hanno fatto maggiore impressione noto il drammaticissimo dialogo nel giardino tra Fausto e Argia, l’affannosa corsa del Lamberti alla ricerca di un luogo meglio adatto al suicidio, la scena del matrimonio in extremis così commovente nella greca semplicità.
G. Pipitone-Federico.