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teri dei suoi personaggi sorvolando su più di un punto psicologico di capitale importanza, come ad esempio, la caduta di Gilda; si sia limitata, in una parola, a darci un buon romanzo, non una vera opera d’arte. Eppure poco ci sarebbe voluto!

Ad ogni modo, Nell’Ingranaggio, a malgrado del titolo non troppo felice, meritava una tutt’altra edizione. Io non esito ad annoverarlo fra i più interessanti romanzi italiani di questi ultimi tempi.

(Gazzetta Letteraria).

Depanis.


Bruno Sperani ha scritto un libro di dolore e di verità. Verità, non intendo soltanto nel senso di quella esatta e più o meno fotografica — o notarile — riproduzione di ambienti, di caratteri, di particolari, che è tanta e così sostanziale parte del romanzo moderno positivista. Dico che il libro — ciò che sfuggì a tutti i critici, toltone l’acuto Cameroni che lo ha intraveduto — è una battaglia pugnata per la verità e l’interezza della vita e delle sue forme, per la coerenza di queste con quella, per lo spastoiarsi da quello aggrovigliamento malsano di tradizioni, di convenzioni, di convenienze, di artifici, d’imposture, di vigliaccherie che avvolgono come in una rete di ferro, e comprimono e pervertono e fanno più frivola e corrotta e crudele, la già tanto frivola e crudele e corrotta vita della borghesia moderna.

E la battaglia è tanto più efficace perchè non è fatta in forma di predica, nè l’argomento è torto alle esigenze, incompatibili con l’arte, di una tesi propriamente detta.