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Pure si sforzava a lavorare, perchè non voleva stare in casa sola: aveva paura; le veniva addosso una insoffribile malinconia. E poi, non voleva si dicesse che andava tisica. Temeva anzi sopra ogni cosa questo giudizio della gente, condanna feroce, contro cui non v’ha appello.
Perciò diveniva sospettosa, e appena due persone discorrevano, la si metteva accanto a loro per sentire se parlavano di lei, del suo male.
E se qualcuno le domandava:
— Come state Virginia? — guardandola con un certo interesse o curiosità, ella rispondeva subitamente:
— Benissimo!
Ma il dottore le diceva senza pietà:
— Non ti forzare: fai peggio.
Perciò, intendendo bene che agli occhi del dottore il male non si poteva celare, ella rimbeccava stizzosa:
— Che devo fare? Il lavoro c’è, e non ho nessuno che mi aiuti, dacchè mia cognata mi ha piantata qui per i suoi capricci!
Il medico, indifferente, s’accontentava di sorridere del suo spietato sorriso, e le voltava le spalle.