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26 | distinzione seconda. - cap. v. |
si verifica, che uso si converte1 in natura. Onde sono molti, i quali adusati del mal fare e del vizioso vivere, non pare che si possano astenere dal peccato; chè la loro ragione è sì offuscata, e sommessa all’appetito sensitivo, e il libero albitro e sì legato, che non si può recare al bene, se speziale grazia non l’aiuta. E interviene di questi cotali come degl’infermi, a’ quali le lunghe infermitadi invecchiano addosso, che è quasi impossibile o molto malgevole a curargli. E però si vorrebbe tosto, e sanza indugio, colla medicina della penitenzia curare la ’nfermità del peccato, innanzi che raccresca2 o invecchi; chè, come dice san Gregorio: il peccato che colla penitenzia tosto non si lava, col suo peso tosto trae all’altro peccato. E così aggiugnendo l’uno peccato all’altro, cresce la malizia, e incorre l’uomo in molti inconvenienti. In prima: che quanto l’uomo più pecca, si dilunga tanto più da Dio, e tanto più tempo farà bisogno di ritornare a lui; e colui che indugia insino alla morte e alla vecchiezza, si toglie il tempo di potere a Dio tornare. E avvegna che si truovi d’alquanti che pentendosi alla morte furono salvi, non si vuole istare a quello rischio; chè, come dice santo Ierolimo: Il privilegio di pochi non fa legge comune. Anzi dicono i Santi, che Dio sottrae spesse fiate la grazia sua nella fine a molti i quali la rifiutarono quando erano vivi e sani.
Come conta santo Gregorio d’uno, il quale venendo alla infermitade della quale morì, e vedendosi venire grande moltitudine di demonii per portarne l’anima sua, comandando quegli che parea il maggiore di loro, che l’anima gli fosse ischiantata di corpo, cominciò a gridare ad alta boce: Indugia pure in sino a domani; indugia pure in sino a domani.3 Infra le quali parole non essendo esaldito, con doloroso pianto,