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ragione che fortuna seguire. Ben temo che la tua gioventude non faccia te più altero e feroce, che non bisognerehbe ai riposati e quieti consigli della pace. Ma saviamente farai se tu, avvegna che la fortuna già mai non t’ingannasse, non ti sporrai a’ rischi e a’ pericoli degl’incerti casi. Molto t’è andata diritta la fortuna, Scipione; ché, come io fui nel vostro paese vittorioso, cioè al lago di Perugia ed a Cannas, cosi se’ tu oggi qui nel nostro paese; e prendendo tu lo ’mperio a tal’ora che a pena per la giovane ètade eri atto a cavalleria, e tutte le cose arditissimamente imprendendo, la fortuna in fino al dì d’oggi non ti fece mai fallo, come fece al tuo zio essendo in Ispagna. Dove faccendo vendetta della loro morte, la quale era a grande isventura e abbassamento della vostra casa, cominciasti ad avere grande onore di virtuosa franchezza e di grande pietade; la Spagna perduta ricoverasti, cacciandone valorosamente quattro osti della gente africana. Poi creato consolo, avvegna ch’agli altri paresse assai fare di difendere l’Italia, tu passato di qua nell’Africa, sconfìggendo e mettendo in volta due osti, e in quella medesima ora prendendo e ardendo due campi afforzati, e prendendo Siface re poderosissimo, occupando tante cittadi del suo reame e del nostro imperio, ritraesti me d’Italia, dove sedici anni in possessione era già istato. Potresti tu già dire, Scipione: — L’animo mio vorrebbe piuttosto vittoria che pace; — ma io ti rispondo (che per isperienza l’ho provato) che i voleri altieri, i quali fa la fortuna prospera, siccome per alcuna fiata fece a me, più tosto desiderano cose grandi che utili. Ma se gli Dii nelle cose prospere ci donassero buona mente, noi penseremmo non solamente quelle cose che intervenute ci fossono, ma eziandio quelle che ci potessono intervenire. E non recandoti alla mente ogni cosa che sopra ciò contare si potrebbe, assai grande essemplo e ammaestramento in tutti casi prosperi e avversi ti sono io: il quale tu vedesti già, accampato tra Anienne e la città di Roma, fran-