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286 | trattato della scienza. |
gli possano alcuna volta leggere, che sanno discernere il vero dal falso e’l buono dal reo; gl’idioti e non litterati non è sicuro ch’eglino gli leggano. Né i letterati gli debbono molto usare; chè le più delle volte vi si perde el tempo, e fassi per vanità: e spezialmente è interdetto a’ cherici e a’ religiosi, i quali debbono leggere il santo Vangelo, e le Pistole di san Paolo, e ’l Salterio e l’altra Scrittura santa, che si legge e canta nella santa Chiesa: e molti di loro studiano le commedie di Terrenzio e di Giovanale e d’Ovidio, e ramanzi1 e sonetti d’amore; che è al tutto illecito.
Onde si legge scritto da san Ierolimo, ch’egli essendo giovane, si dilettava molto, bene che fosse fedele cristiano, di leggere ne’ libri di Tullio Cicerone per lo bello parlare rettorico, e ne’ libri di Platone filosafo per lo stile alto e mistico che tiene: ne’ libri de’ Profeti e dell’altra santa Scrittura non si dilettava tanto; chè gli parea lo stile rozzo e grosso.2 Ora avvenne ch’egli infermò gravemente, intanto che disfiato da’ medici, s’apparecchiava l’assequio col mortoro. E essendogli la gente dintorno che aspettavano ch’egli passasse, di súbito lo spirito suo fu rapito dinanzi al giudicio di Dio; dove dice ch’era dintorno alla sedia dove il Giudice sommo sedeva, tanta luce di gloria e di chiarità, che gli occhi suoi non la poteano sofferire. Onde, per lo tremore e per la paura della presenza del Giudice, e per la forza di quella importabile luce, egli stava steso in terra dinanzi alla giudiciale sedia; e domandato dal Giudice di che condizione e’ fosse, ed e’ rispose ch’era cristiano. – Tu ne menti, disse il Giudice, chè tu non se’ cristiano, anzi se’ ciceroniano; chè dove è il tesoro tuo, ivi è il cuore tuo. – Tacette, non sappiendo che si rispondere. Allora comandò il Giudice che fosse duramente battuto; ed egli