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264 | trattato della vanagloria. |
altri desidera d’avere gloria. Vano è il fine al quale conduce tal gloria; della quale dice san Piero: Omnis gloria eius tamquam flos foeni: Ogni gloria dell’uomo, per qualunche modo tu la pigli, è vana come il fiore del fieno. E però dicea bene san Giovanni Boccadoro: Non è vera cotale gloria, e non è gloria, ma è vôta di gloria.1 Onde gli antichi l’appellano vanagloria, cioè cosa vôta; chè la cosa ch’è vôta è detta vana.
CAPITOLO SECONDO.
Dove si dimostra che differenza è tra la vanagloria e la superbia, e quando è peccato mortale.
La seconda cosa che si dee dire della vanagloria, si è che differenza è tra lei e la superbia, e quando è peccato mortale. Dove è da sapere che, avvegna che per la grande somiglianza c’hanno insieme questi due vizi, ispesse volte dalla Scrittura e da’ savi dottori si prendono l’uno per l’altro; tuttavia, considerandogli sottilmente, hanno grande differenza e sguaglio2 l’uno dall’altro; e ciascuno è vizio per sé, distinto l’uno dall’altro: la qual cosa ci si manifesta apertamente, se ci rechiamo a memoria delle cose dette di sopra. Fu detto di sopra, che la superbia, propriamente parlando, è uno amore, o vero uno appetito disordinato, che sospinge l’animo dell’uomo ad alcuna escellenza o maggioranza, più che non si conviene secondo la diritta ragione. La vanagloria, secondo che si puote raccogliere di quello che n’è detto di sopra, è uno appetito di loda mondana,3 o vero di reputazione secondo la stimazione e l’oppenione delle genti; per la quale avere, si manifesta e mostra qualunche escellenza o virtù o bontà,