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capitolo settimo. 231

gloria e dopo le grandi ricchezze venne in grande miseria; e dice che parve che due fortune contrarie si dividessono insieme: l’una gli diede grande nobiltade e smisurata bellezza, prodezza e molta gloria, fama di grande loda, l’amore de’ cittadini, grazia nelle genti, abundantissime ricchezze, sottile ingegno, eloquenza, il favore del popolo:1 l’altra a mano a mano seguitò; che gli diede povertà e l’odio della patria; fu cacciato della signoria, condannato e messo in bando, e alla fine morì2 di mala morte. E così si potrebbe dire di molti altri, de’ quali si legge nella divina Scrittura e nelle storie mondane, che la loro gloria e la loro prosperità poco durò, e finì in grande miseria. E comunemente così interviene. E con tutto ciò, si truovano molti che di queste cose così difettuose e imperfette insuperbiscono, e réputanle grandi cose, stimando che in loro sia sommo e perfetto bene, e pongono in loro la sua finale beatitudine: come dimostra quello savio Boezio nel libro suo della Consolazione della filosofia. Onde il profeta David diceva: Beatum dixerunt popolum, cui hoec sunt: Molti si truovano che dicono che chi abbonda in queste cose del mondo, è beato: ma non è così, dice egli; anzi è beato colui che ha Iddio per suo Signore, e che per avere lui, lascia tutte queste cose. E come tutte le predette cose, e ciascuna di quelle le quali3 sogliono insuperbire gli uomini, sono imperfette, inistabili,4 vane e con molti difetti, mostrasi chiaramente in molti luoghi della santa Scrittura e per dottrina e per essempli; e Boezio nel libro detto, e Seneca nelle Pistole sue e nelle Tragedie il manifestano chiaramente e ordinatamente. Onde chi di ciò volesse sapere più cose, o per levare l’animo dalle cose del mondo e non pregiarle,5 o per saperne

  1. Tralasciamo di additare, siccome inutili, le ommissioni o abbreviazioni del nostro Manoscritto.
  2. Nelle stampe: morto.
  3. La stampa sola del 25: delle quali.
  4. Il Manoscritto e l'antica edizione: miserabili.
  5. Il medesimo, amarle.