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221 capitolo quinto.

quel santo padre, si vestì d’un suo sacco a modo d’uno stolto, e prese un pezzo di pane in mano e del cacio: e venendo il signore con molta compagnia a visitarlo, egli si pose in su l’uscio della cella sua, e dava di morso in quel pane e in quel cacio, e non rispose, a cosa che gli fosse detta, parola veruna1 e non lasciò il mangiare; anzi più si studiava, iscostumatamente facendo maggiori bocconi. La qual cosa vedendo quel signore, ebbelo a dispregio; e partendosi, l’abate rimase nella sua saviezza, avvegna che paresse stolta umilità, e fuggì la stolta superbia. Or non è egli grande stoltizia che l’uomo pressuma oltre alla sua forza, e faccia le ’mprese più che non porta il suo potere?2 Onde bene l’addimostra la Chiosa sopra quella parola di Ieremia profeta: Superbia eius et arrogantia eius plusquam fortitudo eius: La superbia prossume più che non è la forza; l’arroganza s’attribuisce falsamente quello che non ha: e l’uno e l’altro è grande isciocchezza. E però dice bene Salamone ne’ Proverbi: Superbus et arrogans vocatur indoctus: L’uomo superbo e arrogante si chiama stolto. E chi volesse delle stoltizie alle quali conduce la superbia l’uomo, sapere più innanzi, legga in questo medesimo Trattato fatto in latino per gli letterati, dove molte più cose si scrivono della superbia, che non fieno3 qui, per non iscrivere troppo lungo.


CAPITOLO SESTO.


Dove si dimostra la punizione e la pena della superbia.


Nel sesto luogo si dee dire della punizione e della pena della superbia. Dove è da sapere che, come è detto di sopra, Iddio ha sommamente in odio questo vizio; e imperò, dov’egli è

  1. Il Testo a penna: non rispose a cosa veruna che gli fosse detta.
  2. Ediz. 95 e 85: le 'mprese oltre al suo potere.
  3. Si noti la più sana lezione del nostro Codice, avendosi nelle stampe: fanno.

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