non sono degni di riceverne più, ma d’essere privati di quegli c’hanno ricevuti. E veríficasi verso loro quello che dice san Bernardo: che la ingratitudine è uno vento che riarde e secca la fontana della pietade, la rugiada della misericordia e ’l fiume della divina grazia. Contro alla seconda spezie della superbia per la quale stima l’uomo d’avere per li suoi meriti quello ch’egli ha, dice san Paolo: Gratia Dei sum id quod sum: Per la grazia di Dio io sono quello ch’io sono; quasi dica: S’io sono1 alcuna cosa, e ho niente di bene, è per la grazia di Dio, e non per gli miei meriti. Altrimenti, la grazia non sarebbe grazia: come se l’uomo pagasse uno lavoratore dell’opera e della fatica sua, non gli farebbe grazia veruna, ma serverebbegli il debito della giustizia; così se Dio ci desse i beneficii suoi per li nostri meriti, non ci farebbe grazia, ma giustizia: e così tôrrebbe via la grazia di Dio; ch’è errore a dire o a credere, con ciò sia cosa che la grazia sia principio e cagione d’ogni bene. Potrebbe altri dire: – Dunque non merita l’uomo niente, quantunqu’egli adoperi bene e virtuosamente, da che sola la grazia lo fa? – Dove si risponde, che l’uomo, bene adoperando, merita in virtù della grazia che Dio liberamente gli dà, e non per le sue operazioni, le quali, senza la grazia fatte, non varrebbono nulla appo2 Dio. Onde, avendo l’uomo la prima grazia da Dio, la quale non si merita d’avere, ma liberamente si dona; e operando secondo quella cotale grazia; merita, per quella grazia che fa l’opere sue essere meritorie e a Dio accette e grate, d’avere maggiore grazia, e anche la gloria secondo la grazia. E questo volle dire san Paolo, quando avendo detto: Gratia Dei sum id quod sum, aggiunse: et gratia eius in me vacua non fuit. E la grazia sua non è stata in me vôta e vana; dando ad intendere ch’egli
- ↑ Il nostro Codice (valga per quel che può l'avvertenza): io so quello ch'io so; quasi dire: S'io so.
- ↑ Ediz. 95: appresso a. E così altre volte per questa preposizione, e pel modo di costruirla.