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distinzione quinta — cap. vii. 171

umani, che sono difettuosi nell’ultimo fine, cioè1 la eterna beatitudine. Onde, adoperando secondo la legge di Dio, l’uomo perviene alla beatitudine, ch’è l’ultimo fine della razionale creatura, cioè dell’uomo. Ma facendo contro alla legge di Dio, ch’è fare il peccato e travaricare2 con difetto da quello che l’uomo dê fare, sì è svíasi dall’ultimo fine. E però dicendo che cosa è il peccato, ragionevolmente s’aggiugne ch’è contro alla legge di Dio. Onde santo Ambruogio, volendo mostrare che cosa è il peccato, dice: Quid est peccatum, nisi prooevericatio legis divinoe, et coelestium inobedientia mandatorum? Che cosa è il peccato, se none uno trapassamento della legge di Dio, e disobedienza de’ celestiali comandamenti? Dove si dimostra come al peccato concorre una privagione di quello che dirizza al fine, cioè alla beatitudine: e questo si dà ad intendere quando dice ch’è uno trapassamento della divina legge. E anche è uno disordinamento e uno isviamento del detto fine: e ciò si dimostra quando dice ch’è una disubedienza de’ celestiali comandamenti, a’ quali obbediendo si perviene alla beatitudine di vita eterna; si come rispuose Cristo nel Vangelo a colui il quale lo domandava quello che fare dovea per avere vita eterna, dicendo: Si vis ad vitam ingredi, serva mandata: Se vuoi entrare a vita eterna, serva i comandamenti. Per questo ch’è detto, si dà ad intendere, come dice il Maestro delle sentenzie, che negli atti di fuori, come nel mal parlare e nel male operare, sta il peccato; e ancora negli atti dentro si commette peccato, come nel mal pensare e nel male volere e nel male desiderare. E spezialmente la mala voluntade è radice e cagione d’ogni peccato che dentro o di fuori si commette.

  1. Le tre consultate edizioni: il quale è.
  2. Le stesse: e mancare.