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distinzione quinta — cap. iv. | 141 |
E seguita l’altro verso che si dice al confessoro:
Quilibet observet, animoe medicamina dando,
Voglionsi sporre in questo luogo le dette circustanzie per ammaestramento de’ confessori. La prima circustanzia della quale dee domandare il confessoro, si è, se ’l peccatore non la dice da sé medesimo. Quis: cioè a dire, che colui che si confessa, dica s’egli è prelato o suddito, cherico o laico, letterato o no, vecchio o giovane, legato in matrimonio o sciolto; però che, come dice santo Agostino, uno medesimo peccato s’aggrava e alleggiera1 secondo lo stato, l’oficio e la condizione della persona. La seconda circustanzia si è Quid: cioè, che cosa, e che peccato fu quello che commise; chè non basta dirlo in genere: – Io ho peccato in gola o in lussuria: ho detta o fatta ingiuria al prossimo; – ma conviene che la persona che si confessa, dica spressamente e specifichi in che spezie di peccato ha offeso: se ha peccato nella gola, in mangiare o in bere troppo, o in volere cose troppo dilicate, o non aspettando l’ora del mangiare: nella lussuria, se in fornicazione, o in adulterio, o in peccato contro a natura, o in qualunche altro: in dire o in fare ingiuria altrui, che ingiuria fu quella; se in parole, che parole; di minacce, di rimprovero, d’infamia: se in fatti, che fatti furono; nelle cose sue, nell’avere o nella persona: se percosse,2 con che; con ferro, mazza, pietra o pugno: e chi fu la persona che’egli offese; padre o madre, prelati o altri; e se di ciò ne seguitò danno, pericolo, o scandalo, o vergogna. Dee ancora domandare che volle o che intese di fare; chè spesse volte si pone l’uomo in quore di fare un grande malificio, com’è omicidio, tradimento o simili cose, e non viene altrui fatto: onde si dee confessare della