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distinzione quinta — cap. iv. 139

Qui si dimostra come il confessoro dee tener celate le cose ch'egli ode nella confessione.


Sopra tutte le cose, attenda il confessoro di tenere segrete e celate le cose ch’egli ode in confessione; le quali non è licito in niuno modo di manifestare. Onde, se ’l confessoro ne fosse esaminato da qualunche giudice civile o ecclesiastico, eziandio dallo ’mperadore o dal papa, non le dee manifestare; e puote salvamente giurare, se a saramento da qualunche giudice fosse richiesto, ch’egli non ne sa niente. E intendesi ch’egli nol sa come uomo, o in tale modo ch’egli lo debba o possa dire. E ’l giudice che di ciò l’esaminasse, gravemente peccherebbe, intramettendosi di cercare o di volere sapere quelle cose che non s’appartengono al suo ufficio. Ma se ’l confessoro sapesse quella cosa di che il giudice domanda, altrimenti che in confessione, puótela dire, non dicendo che l’abbia in confessione: avvegna che, se non è necessità di dirla, quanto puote se ne dee guardare, acciò che non ne nascesse iscandolo, credendo altri ch’egli rivelasse quello che udito avesse in confessione. Similmente si dee tenere celato quello che l’uomo riceve in segreto, o sotto suggello di confessione: tuttavia la persona che confessa il peccato, o che pone altrui alcuna cosa in segreto, puote dare la licenzia al confessoro di dirla in caso di necessitade; la quale licenzia non si dee usare se non per grande necessitade o bisogno, e, spezialmente, quando si temesse che non n’uscisse1 iscandolo. E quella persona a cui si manifestasse quello ch’è detto nel segreto della confessione di licenzia di colui che l’ha detto sì’l dee tenere segreto, se non fosse già volere di colui che l’ha detto in confessione, ch’egli lo palesasse. Ed è tanto da tenere celato il segreto della confessione, e per riverenza del sagramento, e per le grandi pene

  1. Ediz. 95: che ne nascessi; 85: che nascesse.