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distinzione quinta — cap. iv. 135

Qui si dimostra il modo che dee tenere il confessoro in domandare

il peccatore che si confessa.


In prima, ch’ e’ domandi la persona che si confessa di que’ peccati che comunemente sogliono commettere le persone di quello stato e di quella condizione. Onde non dee domandare il cavaliere de’ peccati del cherico, né ’l mercatante dei peccati dell’avvocato, né la donna de’ peccati che si commettono da’ rettori1 del Comune. La seconda cosa ch’egli dee osservare, si è ch’ e’ non domandi de’ peccati che non sono comunemente manifesti ad ogni gente, specificatamente e apertamente; ma facciasi a lungi,2 acciò che se la persona non l’ha fatto o nol sa, non gli venga voglia di farlo e non l’appari. De’ peccati comuni e manifesti, come s’è furto, omicidio,3 adulterio, e di simili, puote bene espressamente domandare. Di certi peccati occulti, i quali molte persone non gli sanno e non gli fanno, o tacciasi, o sì cautamente s’accenni da lungi, che non s’insegni il male a chi no ’l sa;4 e dove il prete, come medico, dee curare la piaga, non la faccia: come si legge che intervenne una volta, secondo che scrive Cesario.

In Cologna in uno monasterio fu messa una fanciulla di sette anni dal padre e dalla madre, la quale avea nome Beatrice. Questa fanciulla perseverando nel monastero, crebbe; e fatta donna e monaca sagrata, si confessò una volta generalmente da uno prete poco savio e meno discreto. Il quale domandandola de’ peccati che dovesse aver fatti secondo lo stato suo, tra gli altri la domandò s’ella avesse peccato car-

  1. Ci è qui piaciuto seguire la stampa del primo secolo
  2. Scritto nel Codice: allungi. Dove la stampa del 95: di lungi; e quella del Salviati: da lungi.
  3. Ediz. 95: come sono furti, micidio
  4. In tutte le stampe: il male che non si sa.