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distinzione quinta. — cap. iv. | 111 |
fessare da uno laico. E dico in caso di necessità e pericolo di morte. E dico che si potrebbe confessare, non che sia di necessitade a fare; imperò che dove non è copia di prete, basta a salute1 la contrizione, con desiderio, se essere potesse, di confessarsi; e con proponimento, s’egli campa, di farlo. Tuttavia, se la persona avesse fede e divozione di volere dire con umiltà e vergogna il peccato suo a laico, desiderando il prete se avere lo potesse, gli è valevole la confessione; avvegna che non si possa dire sagramentale propiamente, però che ci manca il propio ministro di tale sagramento. Tuttavia, per l’umiltade che induce il peccatore a dire i peccati suoi all’uomo simile a lui, e a sottomettersi quasi a suo giudicio; e per la vergogna di manifestare i suoi peccati; e per lo buon volere, e per lo proponimento c’ha nel quore, che se potesse avere il prete si confesserebbe, da che si conduce a confessarsi dal laico; ha alcuna efficacia cotale confessione.
Onde si legge iscritto da Cesario, che in una villa del contado di Tolosa fu un prete, il quale dimesticandosi con la moglie d’uno cavaliere della contrada, s’indussono a peccato. Il quale continuando per più tempo, fu detto al cavaliere: il quale non volea immantanente credere, né non rimase però sanza sospetto; e non dicendo al prete né alla donna nulla, né non mostrando segno di sospetto veruno, un di pregò il prete che l’accompagnasse in uno certo luogo, per avere un segreto consiglio. E così lo menò a una villa dov’era uno indemoniato, il quale a tutti quelli che vedeva, rimproverava i loro peccati, quantunque segreti fossono.2 Il prete ch’avea udito quello che lo ’ndemoniato faceva, si pensò che ’l cavaliere, com’era il vero, ve l’avesse condot-