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distinzione quinta. — cap. iii. | 107 |
gogna e vergognosa pena, è in luogo di sadisfazione, come l’altre opere penose della penitenzia. E però dicono i Santi, che è utile il confessare più volte et a più confessori il peccato; chè avendone tuttavia nuova vergogna e nuova pena, si scema la pena debita. E tanta potrebbe essere la pena del dolore della contrizione, e la pena della vergogna, la quale volontariamente l’uomo sosterrebbe per amore di giustizia e di caritade, che non rimarrebbe a sostenere pena veruna nel purgatorio per gli peccati. E a dare a intendere ciò, Iddio lo dimostra alcuna fiata per alcuni essempli sensibili, come la confessione toglie e scema la pena.
Leggesi iscritto da Cesario, che nella città d’Arazzo in Francia, certi eretici furono presi dallo ’nquisitore, i quali, per paura della morte, negavano la loro resía. Ma essendo molto sospetti d’errore, furono esaminati per lo giudicio del ferro1 caldo, come era nel paese costuma.2 E imperò ch’eglino erano perfidi paterini, il ferro ardente arse loro tutte le mani: per la qual cosa furono tutti sentenziati al fuoco. Uno giovane di loro, il qual era di gentile sangue, fu indotto da uno cherico che dovesse lasciare la resía; e rispondendo egli, che conoscea bene d’avere errato, ma che troppo era tardi a tornarea penitenzia, disse il cherico, che la vera penitenzia non era mai tardi. Chiamato adunque il prete, il giovane si cominciò a confessare, e come cominciò a dire i peccati, e l’arsione cominciò a scemare; e secondo che procedeva nella confessione, così a poco a poco il dolore e ’l colore nero3 del fuoco se n’andava. Compiuta la confessione e ricevuta l’assoluzione, il dolore tutto e l’arsura e ogni segnale del fuoco si partiva delle mani, come se mai non avesse toccato fuoco. Presentato al giudice, dove gli altri tutti furono mandati al