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ii al discreto lettore

anche quelle che se ne fecero, non sappiamo per opera di chi, nel decimoquinto, e poi nel decimosesto, per le cure commendevolissime di Lionardo Salviati.

Tra i Testi a penna del Passavanti, de’ quali, come è da presumersi, non è in Firenze scarsezza,1 stimai da presceglier quello che un tempo appartenne al convento già detto delle Murate, sì perchè non annoverato fra gli altri di cui si valsero gli Accademici, e perchè l’assoluta ignoranza della latinità nel suo trascrittore, senza la quale è impossibile ogni scienza di cose teologiche, ci fu come mallevadrice del non essersi commessa in tale apografo, come forse in qualche altro, alcuna arbitraria mutazione. Esso appartiene, per verità, al cominciamento del secolo quintodecimo; ma tutta antica e fiorentina la favella2 che dal leggerlo ci risuona; costante o metodico, e generalmente corretto, il modo tenuto dal copista nel tramandarcela; ed i non radi e grossolani errori che vi s’incontrano, anzi che a natural goffaggine, sembrano da attribuirsi alle difficoltà dell’archetipo relativo, ovvero a distratta o rallentata attenzione. Per tali indizii è facile il sospettare che formatrice di quel Codice fosse una

  1. Troppo tardi, per cortese comunicazione dell’odierno possessore signor Dott. Pietro Cernazai, ci giunse notizia di altro e bel Codice del secolo XV, esistente in Udine, e che fu già della libreria dei Domenicani di Cividale. Valga il ricordo che ne facciamo per quelli che d’ora innanzi vorranno porre i loro studi sull’opera del Passavanti.
  2. Cotesta fiorentinità, sebben rozza talvolta, mi feci coscienza di conservare; e perciò riposi nel testo confessoro dove gli Accademici, seguendo il Codice di Pier del Nero, avean posto sempre confessore: segno non dubitabile che nell’uno e nell’altro modo profferivasi questa voce in Firenze, ma senza che possa indovinarsi qual fosse il preferito, predicando o scrivendo, dal nostro Autore.