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capo quinto 43

gar la rabbia che gli divorava l’anima, volle di sua propria mano accarnare in quel morto corpo quattordici colpi di stile, onde rimase sformato miseramente in un lago di sangue.

Chi può dire l’immensa doglia dell’atterrita sposa in vedersi così spietatamente trafitto a’ suoi fianchi il consorte amato? Non pianse ella, non mise gli occhi a’ carnefici, non disse motto; ma pittatasi di peso sul cadavere insanguinato, se lo strinse frenetica al petto, e poi ruppe in pianto dirottissimo. Ma que’ manigoldi, ad un cenno del loro furibondo padrone, traendola per i capelli, la strapparon di forza dall’estinto, e da quella scena di orrore. Fece poi trascinare a quella stanza, orribile a dirsi! la marchesa madre, e trafissela sul corpo del figlio. Non sentisti allora per tutti gli anditi del castello che un fuggire, un gridare, un querelarsi affannoso, un bestemmiare infernale, un tumulto indistinto ed orribile. Bernardino Abenavoli era smanioso di sterminare tutta la sventuratissima famiglia dell’Alberti. Una sorellina di Antonia, che chiamavano Annuzza ed aveva undici anni, tutta tremante di spavento si era cacciata sulla via per fuggire, quando il barone inculcò a Giuseppe Scrufari che la levasse di terra. Lo Scrufari era vassallo del marchese, uno di quegli scellerati che l’avevano tradito al barone. Sparò l’infame contro quella povera fanciulla, e le squarciò le tenere ginocchia. Ed ella, più morta che viva, voltasi al suo assassino con infantile rampogna, gli disse: Scrufari, perchè mi ammazzasti? Queste compassionevoli parole, che dovevano aver forza di metter pietà in una tigre, niuna impressione fecero nell’efferato animo dello Scrufari; il quale anzi corse a finirla di stile: e quella innocente anima si mutava da terreni affanni a’ refrigerii celesti. Con pari ferocia fu ucciso un altro fratellino di Antonia, che non finiva ancora il nono anno dell’età sua.

Intanto che per le stanze del castello si rappresentavano queste orride scene, tre cagnotti del barone stavano alla porta della stanza di Antonia per impedirle l’uscita, e quattro a quella ch’era dimora di don Petrillo. La voce di tanto eccidio era corsa il giorno appresso per tutta la terra di Pentidattilo, e i vassalli del marchese cominciavano a commuoversi, ed a far rumore; ma il barone, che ciò aveva antiveduto, minacciò lo sterminio alla terra, se persona fiatasse. Si mosse allora per uscir di Pentidattilo, e seco menò Antonia, per cui cagione aveva commessi tanti misfatti. E seco ancora fece condurre don Petrillo in ostaggio; del quale disse che lo avrebbe fatto impiccare ad un albero, qualora venisse perseguitato dalla regia Corte. Non rimaneva dunque nel castello di Pentidattilo, che la moglie