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capo quarto 39

sinese che i Francesi non proseguissero colla medesima energia la guerra; ed uscì anzi voce che il re di Francia non avesse pensiero di conservar Messina al suo dominio, ma solo di far diversione alle forze di Spagna, colla quale era alle prese ne’ Paesi Bassi. Non pareva quindi sperabile che Messina fosse con un tratto vigoroso e deciso liberata da quelle angustie, nelle quali la tenevano le milizie spagnuole. In questa critica situazione i soldati francesi insolentivano nella travagliata città, ed in vece di gratuirsi il popolo lo inasprivano colle loro arroganze e col mal costume. Per la qual cosa cominciavan tutti a sfiduciarsi di quello stato così violento, e senza certo avvenire.

VI. Lodovico XIV intanto, che vedeva costargli tanti sagrifizii l’impresa di Messina, nè potersi fare alcun fondamento sull’intera rivoluzione dell’isola, che la Francia avea sperato, e che i Messinesi avean dato ad intender facilissima, cominciò seriamente a pensare di abbandonar quella piazza. Tanto più che l’Inghilterra guardava in cagnesco quell’impresa, ed accennava di congiungersi co’ nemici di Francia. E già da più tempo l’abbandono di Messina si era deliberato nel consiglio di Lodovico XIV; ed a’ diciassette settembre del 1678 fu tra Francia e Spagna sottoscritta la pace in Nimega. Allora il Maresciallo de la Feuillade fu mandato dal re di Francia a notificare a’ Messinesi che la città loro doveva esser riconsegnata alla Spagna. Quanta rabbia, dolore, e disperazione abbia messo negli animi di que’ cittadini la tremenda notizia, che fu sentenza di morte, ognuno di leggieri il comprenderà. Non sapevano gl’infelici Messinesi a che partito gittarsi; scongiuravano il Maresciallo che almeno tanto dimorasse tra loro, che avessero spazio di dar sesto alle lor cose, e salvezza alle persone. Ma ciò fu negato crudelmente, e moltissimi, disperando del perdono di Spagna, si assentarono dalla patria per fuggirsi a quella Francia, che fattili prima ribelli, li aveva poscia traditi. Ottomila tra nobili e popolani furono gli sventurati che le avite sedi abbandonarono; e l’armata francese che seco li portava, consegnava la patria loro alla vendetta spagnuola. Come subito i Francesi andaron via di Messina, ne fu dato avviso al conte Barbò governatore dell’armi della piazza di Reggio; il quale accorsovi incontanente col Vescovo di Squillace, e con alcuni uffiziali militari, introdusse in Messina il ritratto del re Cattolico Carlo II, alla cui vista tutti que’ cittadini fecero non ordinarie dimostrazioni di applauso. Vennevi indi a non molto il Gonzaga Vicerè di Sicilia, il quale concedette loro un ampio perdono colla restituzione di tutti i beni già confiscati, eccettuandone solo tutti quelli che colla fuga se