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   30 libro settimo

spetto e l’amore che portavano all’egregio Prelato, e per non condurre le cose agli estremi, uscirono della città, ed alle lor case fecero ritorno.

Mentre che queste cose succedevano nella città, il Governatore chiuso nel Castello tenea pratiche con Vincenzo Ruffo in Messina, a cui inviò un Pietro Gongora, perchè esponesse al Senato di quella città, che essendo Reggio in rivoluzione egli avea bisogno di qualche soccorso di soldati, e desiderava che gli fossero inviati da Messina. Poichè que’ pochi fanti ch’eran di presidio al Castello di Reggio, erano stati chiamati in Napoli nella sollevazione di Masaniello; sì che non solo Reggio, ma tutte le altre città del Regno rimasero per tal causa sguernite di soldati. Ma il Senato se ne scusò dicendo non aver gente soverchia da darne altrui; e tanto più se ne scusò, sapendo che Reggio, per tramezzo dell’Arcivescovo, era rientrata nella consueta tranquillità. Dopo tal rifiuto, il Governatore chiese sussidii al castellano del Salvatore, ma costui nemmeno gli diede retta: poi ne chiese anche al castellano di Mottagrifone, il quale, alle ripetute istanze, gli mandò ventisette uomini, e molte vettovaglie, che di nottetempo furono introdotti nel Castello di Reggio. Ma ne avvenne che le sacca de’ biscotti non essendo ben legate, ne caddero non pochi sul terreno nel trasportarli, senza che se ne fossero accorti i trasportatori. Onde i cittadini la mattina vegnente, vedendo que’ biscotti per la via che dal mare conduceva al Castello, ebbero sospetto di quel ch’era avvenuto. E come incontra in tali casi che le picciole cose si fanno grandissime, cominciò a susurrarsi per la città avere il Governatore nella notte intromesso nella rocca circa ottocento uomini venutigli da Messina per cura del Ruffo, ed arme, e munizioni, e vettovaglie in buon dato. Esser quindi suo disegno uscir del Castello, e correre addosso a’ cittadini per vendicarsi delle offese a lui fatte; aver riferite in Napoli al Vicerè le commozioni accadute con molta esagerazione, e descritta la città in procinto di ribellarsi novellamente. Laonde ne’ cittadini d’ogni condizione sorse una grandissima ira contro il De los Arcos, il quale colle sue opere e col suo maltalento faceva che non fosse spenta l’esasperazione pubblica, ma anzi di giorno in giorno accresciuta. E furon sonate le campane, sonati i tamburi; e tutti i Reggini con mirabile accordo corsero all’armi, ed impetuosi procedendo verso il Castello, si posero a far trincee, a piantar cannoni, ivi condotti da su’ bastioni della città, a batterlo con furia grandissima.

Seppe questo nuovo frangente il Prelato, che fu a quei tempi calamitosi il vero angelo tutelare di Reggio; e col solito fervore, e